L’ultima notizia arriva dall’Aquila, dove il 7 marzo il TAR ha discusso il ricorso dell’associazione Abruzzo Freeride Freedom contro i divieti di fuoripista, scialpinismo, ciaspole eccetera emessi nel 2014 (la giustizia è lenta!) dai Comuni di Roccaraso e L’Aquila. La sentenza dovrebbe arrivare entro aprile.

E’ una questione importante, attuale (ordinanze del genere sono state emesse da vari Comuni abruzzesi a febbraio), che non riguarda solo l’Abruzzo e l’Appennino, e che non crea problemi solo con la montagna innevata. Certo, i divieti “a tappeto”, come gli arrosticini e le scrippelle, sono una specialità della regione del Gran Sasso, e non esistono nelle località italiane e straniere delle Alpi. Certo, l’idea di mettere all’indice e bastonare chiunque frequenti la montagna fuori dalle piste da sci e dai sentieri segnati è al 100% appenninica e abruzzese. Certo, a essere danneggiate da questi provvedimenti sono le guide alpine dell’Abruzzo, delle Marche, dell’Umbria e del Lazio, e le economie di Ovindoli, di Rocca di Mezzo, di Castel del Monte e di tanti centri vicini. Le guide valdostane e lombarde, come gli albergatori e i ristoratori di Courmayeur, Madesimo, Limone Piemonte e Dobbiaco possono dormire sonni tranquilli.

Ma la questione di fondo è generale, e merita almeno due riflessioni. Uno. La pratica della montagna, al di fuori delle piste battute e dei sentieri turistici, si basa sulla preparazione tecnica e sulla capacità di valutare il terreno e le previsioni meteo da parte di chi la pratica. Intervenire vietando, come fece negli anni Trenta il sindaco di Grindelwald dopo i primi morti sulla parete Nord dell’Eiger, scoraggia di rado chi vuol tentare (infatti nel 1938 la Nord è stata salita) e non riduce gli incidenti. Aggiungo che il mestiere delle guide alpine consiste proprio nel valutare i rischi per conto di chi non lo sa fare da solo. I sindaci di Roccaraso e L’Aquila, senza saperlo, stanno proponendo di abolire la professione delle guide. Due. La proliferazione di divieti inutili, stupidi o farseschi ha una conseguenza tragica. Sputtana (scusate il termine) lo strumento del divieto, che invece in qualche caso ci vuole. Quasi quarant’anni fa sono stato tra i primi a parlare di divieti necessario e motivati nel mondo degli escursionisti e dei climber, e molti di loro hanno capito. Poi decine di parchi e riserve hanno istituito dei divieti ridicoli (il Canalone del Velino, l’intera Vetta Orientale del Corno Grande, decine di vette del PNALM …), che gran parte dei camminatori e degli alpinisti di oggi non prende nemmeno in considerazione. Se un sindaco o un direttore di parco impone un divieto senza senso, invita implicitamente i visitatori a ignorare i divieti utili e necessari, quelli che proteggono nidi di falchi e tane d’orso o fioriture di piante rarissime. E’ una follia italiana.