Da qualche giorno, sui social e sui siti che si occupano di montagna compare un’immagine terribile. Mostra un muro di ghiaccio, il gigantesco seracco ai piedi della vetta del K2, che si affaccia su un ripidissimo pendio di rocce e neve. Tra il muro di ghiaccio e il pendio corre una pista ripida ed esposta, attrezzata con una corda fissa piazzata nei giorni precedenti da un team di alpinisti pakistani e di Sherpa.

La foto è stata scattata poco dopo l’alba del 27 luglio scorso, l’unica vera giornata di bel tempo, che ha visto arrivare in cima un centinaio di alpinisti. A scattarla e a diffonderla è stata Lhakpa Sherpa, che detiene il record femminile di salite all’Everest (10 volte) e avrebbe toccato da lì a poco gli 8611 metri del K2.

Nella foto si vedono una quindicina di alpinisti in piedi e una figura coricata di schiena sulla neve. La posizione, insieme ai pantaloni neri e alla giacca gialla, la fa riconoscere subito. E’ il cadavere di Mohamed Hassan, portatore d’alta quota pakistano. Non sappiamo se in quel momento il giovane sia già morto, o se stia per spegnersi dopo qualche ora di agonia.

A diffondere per primo quella terribile immagine in Italia è stato Alessandro Filippini, che racconta quel che accade in Himalaya e sul Karakorum senza dimenticare la coscienza. A ricostruire l’accaduto sul sito Explorers Web è stata un’altra brava collega, la spagnola Angela Benavides. Chi vuol leggere interamente il suo lavoro lo trova su https://explorersweb.com/k2-last-three-hours-muhammad-hassans-life.

Provo a sintetizzare le notizie raccontate da Angela. Mohamed Hassan lavorava per la Lela Peak Expedition, un’agenzia pakistana, e per il Seven Summits Club dell’alpinista e imprenditore russo Alex Abramov. Non era mai salito a quelle quote, e alcuni testimoni intervistati da ExplorersWeb hanno notato la sua inesperienza, e che indossava del vestiario non adatto alla vetta della seconda cima della Terra. Sembra che qualcuno degli Sherpa lo avesse invitato a scendere.

Secondo la vedova di Hassan, che gli austriaci Philip Flaemig e Wilhem Steindl hanno incontrato al ritorno, il giovane pakistano aveva raggiunto al massimo il campo-base del K2, e quest’anno ha puntato alla cima per guadagnare di più. Ne aveva bisogno per aiutare la moglie, i tre figli e la madre malata.  

Benavides, su ExplorersWeb, analizza a lungo i racconti degli altri alpinisti per ricostruire la morte di Hassan. L’incidente è avvenuto alle 2.25 del mattino, al buio, quando una valanga ha investito la lunga fila di alpinisti. Il pakistano è caduto per qualche metro, poi è stato riportato sulla pista da alcuni Sherpa.

La sua maschera per l’ossigeno si è rotta, non sappiamo se nella caduta o a causa di un blocco di ghiaccio o una pietra portati giù dalla valanga, e a 8300 metri di quota la rottura della maschera è una condanna senza appello. Qualcuno ha scritto di una morte improvvisa, ma non è vero. Alle 5.30, quando il sole ha raggiunto il K2 e il drone di Flaemig ha filmato la scena, Mohamed si muoveva ancora. Lo Sherpa Halung Dorchi della 8K Expeditions, che ha partecipato al soccorso, ha raccontato che dopo la caduta il giovane pakistano aveva la faccia nella neve, e piangeva. E’ il dettaglio più doloroso di tutti.

Tutto il resto rientra nella logica delle spedizioni commerciali agli 8000. Il 27 luglio era l’unica giornata di bel tempo, guide e clienti impegnati sul K2 (c’erano Imagine Nepal, Seven Summit Club, EliteExped, 8K Expeditions/Summit Karakoram e forse altre agenzie minori) sapevano che quella era l’unica chance di arrivare sulla cima.

Non sappiamo se la vita di Mohamed Hassan si sarebbe potuta salvare. E’ certo, però, che l’unico modo per provarci era che tutti gli alpinisti e gli Sherpa presenti in quel momento sul K2 rinunciassero al loro momento di gloria sulla cima, e si trasformassero in una grande squadra di soccorso.

“Se fossimo stati lì avremmo interrotto il tentativo, e avremmo dato una mano per salvarlo. E’ un elemento fondamentale del nostro briefing con i clienti prima di tentare la cima” ha dichiarato l’austriaco Lukas Furtenbach, titolare della Furtenbach Adventures. Il suo gruppo, però, aveva già fatto dietrofront a causa delle condizioni pericolose e instabili della neve.

Si sono invece rifiutati di rispondere ad Angela Benavides altri alpinisti, a iniziare dalla recordwoman norvegese Kristin Harila e dall’alpinista e imprenditore russo Alex Abramov, titolare del Seven Summits Club e datore di lavoro di Mohamed Hassan.

Così, come sintetizza con necessaria durezza Alessandro Filippini, “il suo corpo, attaccato alle corde fisse, è stato scavalcato da tutti coloro che in quel momento ancora non erano saliti e da tutti coloro che, dopo essere andati in vetta, sono poi scesi. Nessuno dei salitori del K2 di questa stagione ha potuto evitare di scavalcare il portatore d’alta quota pakistano quanto meno una volta. Per molti, quasi certamente, le volte sono state due”.

“Quindi, coloro che vanno in giro a vantarsi di record legati a questa salita del K2 devono solamente provare vergogna” conclude il collega Filippini. Secondo Alessandro, la parola “vergogna” dev’e ‘essere sostituita da “infamia”, per “chi ha organizzato la spedizione in cui Hassan è stato mandato a lavorare nella squadra incaricata di aprire la via, con passaggi delicati e in altissima quota, nonostante non avesse esperienza precedente, e non avesse equipaggiamento adeguato per quella altitudine”.

“Gli organizzatori di spedizioni devono essere responsabili per il loro staff. Non devono esserci dubbi sul fatto che bisogna aiutare gli altri in una situazione di emergenza. E se un membro dello staff muore, la famiglia dev’essere aiutata” ha spiegato ancora Lukas Furtenbach. Il 27 luglio 2023 sul K2, 69 anni e 361 giorni dopo l’ascensione di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, le cose non sono andate così.

Mohamed Hassan, quando si è messo a piangere, sapeva di non avere speranze. Forse (forse!), se al suo posto ci fosse stato un cliente pagante, la solidarietà sarebbe scattata. Invece l’ingranaggio delle spedizioni commerciali agli 8000, oliato da montagne di dollari fruscianti, ha continuato a girare. E il portatore pakistano, con moglie, madre e tre figli piccoli a carico, è stato semplicemente stritolato.