In questi giorni, soprattutto grazie ai social (che a volte hanno un ruolo positivo) si vedono immagini terribili della Val di Fiemme, in Trentino. Si vedono boschi schiantati dal vento, il fiume Avisio rigonfio e minaccioso, ponti spazzati via dalle acque. Ci sono strade chiuse, frazioni isolate, molte persone hanno dovuto lasciare le loro case. Ci sono anche delle belle notizie, come gli agriturismi e le altre strutture ricettive che si mettono spontaneamente a disposizione degli sfollati le loro camere.
Fotografie altrettanto drammatiche arrivano dalla vicina Val di Fassa, dal Trentino occidentale (soprattutto le valli di Rabbi e di Sole), da Cortina e da altre zone delle Dolomiti venete, dal Bellunese e dalla Carnia. Grazie all’organizzazione del Trentino e delle altre regioni e province alpine, e grazie all’efficienza dei loro sistemi di Protezione civile, i danni e le vittime sono stati molto inferiori a quel che sarebbe successo altrove a seguito di fenomeni naturali analoghi.
Ma c’è una riflessione importante da fare. E’ terribile che le televisioni e i quotidiani nazionali ignorino quasi completamente la tragedia in atto sulle Alpi e si concentrino solo su Portofino e Rapallo, sull’acqua alta a Venezia e sulla sfigatissima Roma di questi tempi. L’unica a meritare davvero l’attenzione dei media è Genova, una città tosta ma che ha ancora molto bisogno di aiuto.
L’ho scritto più volte pensando agli straordinari pasticci dell’Abruzzo e del Lazio in materia di gestione della montagna e della neve. Ne sono sempre più sicuro dopo aver letto le notizie e visto le foto di questi giorni. La montagna interessa all’Italia “ufficiale” solo come cartolina o come meta di vacanze, con il verde dell’estate o con il bianco dell’inverno. Quando la montagna e i montanari soffrono, si girano tutti dall’altra parte.