Nel momento in cui scrivo queste righe M49, l’orso “confidente” del Trentino, potrebbe già essere stato catturato. L’interesse dei media nazionali per la vicenda, invece, sembra essere rapidamente scemato. Più della sorte dell’animale, immagino, interessava a televisioni e quotidiani lo scontro tra Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento, e il ministro dell’Ambiente Sergio Costa. L’ennesima manifestazione del duello tra Cinque Stelle e Lega che anima da mesi la politica italiana.
Voglio bene agli orsi, li ho visti qualche volta in natura, me ne occupo professionalmente da decenni, ho l’impressione che a proposito di M49 la Provincia di Trento potrebbe avere ragione. Gli orsi “confidenti”, dopo aver capito che l’uomo è un’ottima sorgente di cibo, non dimenticano la loro scoperta, e diventano inevitabilmente pericolosi. Catturarli, in molti casi, è l’unica soluzione possibile. Spero che qualche esperto di orsi mi smentisca, ma la mia impressione a oggi è questa.
Ma qui la ragione della Provincia di Trento finisce. Nei suoi comunicati dei giorni scorsi, oltre a chiedere la cattura di M49 e a rivendicare il diritto del Trentino a farlo senza il permesso di Roma, il presidente Fugatti ha detto un’altra cosa molto più grave. Gli orsi oggi liberi nel territorio, da 50 a 70 secondo le stime, sono troppi e in futuro dovranno essere ridotti. Non è una novità, ma mi sembra un clamoroso autogol.
Negli scorsi mesi e anni, le Province di Bolzano e di Trento (quest’ultima anche prima del cambiamento politico con le elezioni dell’ottobre 2018) hanno chiesto più volte il permesso di ridurre il numero dei lupi e degli orsi che vivono nei loro territori. Una richiesta probabilmente illegittima, dato che questi animali protetti, come il Castello del Buonconsiglio, il Duomo di Bolzano o le Dolomiti, non sono proprietà privata di sudtirolesi e trentini, ma un patrimonio collettivo dell’Italia e del mondo.
Ma c’è un’altra questione, che forse a chi vede il mondo da Trento non appare con la necessaria chiarezza. Il turismo ha un peso fondamentale nell’economia italiana, e ancor più in quella del Trentino. Per gran parte dei visitatori dell’Italia, e per la stragrande maggioranza di chi sceglie per meta il Trentino, la qualità dell’ambiente ha un peso decisivo. Non vale solo per escursionisti e ciclisti, ma anche per chi frequenta le spiagge, gioca a golf, fa un tour gastronomico in auto. Oppure, nel resto del Belpaese, visita le colline del Chianti, della Sicilia o del Prosecco, da poco entrate nel patrimonio dell’UNESCO.
Per chi guarda il mondo da Trento, i cumuli di monnezza che il Comune di Roma non riesce a smaltire sono un’immagine ripugnante e lontana. Invece, per chi ci osserva da Los Angeles o da Tokyo (ma anche da Londra, Stoccolma o Berlino), quelle montagne fetenti e popolate da gabbiani e da topi sono una spinta a non venire in Italia, inclusi il Trentino e dintorni.
In un quadro come questo, invece di schierarsi pro o contro il sindaco Raggi, l’Italia dovrebbe fare sistema, e affrontare la questione-monnezza come un’emergenza nazionale. Non lo sta facendo, e se le conseguenze sulla salute colpiranno solo chi vive a Roma, quelle sull’economia costeranno care a tutti, inclusi gli imprenditori turistici del Trentino.
L’Italia, altra cosa che si racconta di rado, è uno dei Paesi con la più alta biodiversità del pianeta. Tra le Alpi e l’Appennino, i fiumi e i laghi, le colline e le coste ospitiamo (non possediamo, vedi sopra) una ricchezza incredibile di specie di animali e di piante.
Dovremmo esserne fieri, e incentrare sugli animali e le piante le campagne promozionali dell’Italia nel mondo. Non lo facciamo, ed è l’ennesimo errore di una classe politica e di una burocrazia miopi e spesso ignoranti.
In questi giorni, l’immagine delle province delle Alpi italiane che si accaniscono contro orsi e lupi rischia di aggiungere danno a danno. Un autenticom suicidio di immagine, come se a Trento o a Bolzano si proponesse di costruire strade o funivie sulle Tre Cime, o sul Campanile Basso di Brenta.