Alla fine il Presidente del Consiglio ha parlato. Sappiamo quando riprenderanno a lavorare operai e creativi della moda, custodi dei musei e baristi, calciatori professionisti e toelettatori di cani. Ma la libertà di camminare su un sentiero o di pedalare su una strada di campagna, fondamentale nelle abitudini e per la salute fisica e mentale di una grande fetta di italiani, non è solo stata rinviata. Non se ne parla proprio, non esiste.
Confesso che me lo aspettavo. Da più di trent’anni, da quando faccio questo mestiere, ho spiegato decine di volte a direttori di giornale, amministratori pubblici e funzionari RAI che in Italia centinaia di migliaia di persone frequentano vette, pareti e sentieri, e che se si include il vasto mondo della bici ci si avvicina probabilmente al milione.
Qualcuno mi ha capito e creduto, altrimenti avrei dovuto cambiare lavoro. La grande maggioranza di questi signori e signore mi ha lasciato educatamente parlare, e ha continuato a ignorare completamente quelle cifre.
Decine di leggi nazionali e regionali, a iniziare da quelle che contrappongono guide ambientali e accompagnatori di media montagna, dimostrano quanto il disinteresse per la montagna e chi la pratica sia diffuso tra chi ci governa, dalle Alpi fino all’Etna.
Nei giorni scorsi, quando la questione dell’apertura o meno dei rifugi è arrivata su Montagna.tv e poi su Repubblica, Corriere della Sera e Stampa (in televisione no, lì si è parlato sempre e solo di spiagge) ci siamo illusi che il governo avrebbe fatto una scelta diversa. Invece no, ed è una pesantissima sconfitta per il CAI e per le altre associazioni che rappresentano il nostro mondo.
Certo, grazie all’appello di Paolo Cognetti alla Regione Valle d’Aosta (giusto ma corporativo, l’ho già scritto!), e alle scelte di buonsenso della Provincia di Bolzano, chi vive ai piedi delle montagne dal 4 maggio le potrà frequentare.
Il Trentino, la Valle d’Aosta e l’Alto Adige, giustamente, fanno l’interesse dei loro cittadini-albergatori, e si preoccupano di chi vive in città solo nella prospettiva dell’estate, che come sappiamo inizia tra due mesi. Le migliaia di escursionisti e ciclisti che vivono in città come Roma e Firenze, dove il COVID c’è sempre stato molto poco, devono restare rinchiusi.
Nelle scorse settimane il sindacato, Confindustria e Confcommercio, le associazioni professionali di ogni tipo hanno fatto il loro mestiere, e sono state (quale più, quale meno) ascoltate. Il mondo di chi pratica e vive l’aria aperta, di cui faccio parte, non è stato ascoltato, e per ora rimane dietro le sbarre. Credo ci sia bisogno di un appello nazionale, da diffondere attraverso i media specializzati e non, altrimenti le gabbie resteranno ben chiuse.
Mi aspettavo tutto questo, ripeto. In Germania, dove la politica sa quanto sia importante l’outdoor, i sentieri, le ciclabili e le falesie sono già state riaperte, con poche regole ispirate dal buonsenso.
Da quelle parti i cittadini sono considerati come adulti capaci di regolarsi, e non come studenti discoli da tenere sottochiave e bacchettare. In Italia, dopo gli inseguimenti con elicotteri (con troupe a bordo) e droni di runner e passeggiatori di cani, l’atteggiamento nei confronti dei cittadini è diverso, e le gabbie sembrano l’unica soluzione.
Il governo Conte, che finora ha gestito abbastanza bene la crisi, è formato da avvocati, professori, politici di mestiere e funzionari pubblici, e vede in molti ruoli-chiave persone nate in Regioni dove il libero sport all’aria aperta è molto meno diffuso che altrove. Nessuno pseudo-leghismo, sia chiaro, mia madre era nata a Napoli. Ma la realtà è questa.
Accanto all’ignoranza, pesa su escursionisti e simili la pessima figura fatta tra febbraio e marzo dal mondo dello sci di pista, l’unica pratica della montagna che la politica italiana sa immaginare. E’ giusto ricordare che, al contrario che nelle cabinovie e sulle spiagge, nella montagna primaverile ed estiva ci si sparpaglia, e mantenere le distanze di sicurezza è certamente più facile che in città.
Nell’estate di qualche anno fa ero a Chamonix, e due ministri del governo francese (credo fosse presidente Nicolas Sarkozy) hanno festeggiato il 14 luglio salendo l’Aiguille de la République, una difficile vetta rocciosa del Monte Bianco.
Decenni fa, per i politici che hanno ricostruito l’Italia, la montagna era un luogo e una meta importante, anche perché simbolo di modestia e di spirito di sacrificio.
Penso a Palmiro Togliatti, a Sandro Pertini, ad Alcide De Gasperi di cui pubblico accanto a queste righe la firma del 1947 sul primo libro di vetta del Gran Sasso. Più tardi sono venuti Bruno Trentin, Guido Rossa e perfino Gianni Alemanno.
Sarei felice di sbagliarmi, ma le abitudini e le attenzioni di chi ci governa in questi difficili mesi mi sembrano piuttosto in bilico tra le Maldive e i bagni Mariuccia. Con tutto il rispetto per la signora Mariuccia, che questa estate dovrà spendere un sacco di soldi per separare gli ombrelloni con il plexiglas.