L’evento che segna la nascita dell’alpinismo, 234 anni fa, ha un testimone pignolo come può essere solamente un tedesco. Nel pomeriggio dell’8 agosto 1786, una giornata di tempo splendido, il barone Adolf von Gersdorf, originario di Görlitz, in Sassonia, osserva con un cannocchiale il Monte Bianco. Poco dopo le 18, scopre due puntini che salgono verso la cima. Alle 18.12, annota, superano le ultime rocce che emergono dal pendio di neve. Poi i due accelerano, come se impegnati in una gara.
Alle 18.23 Jacques Balmat e Michel-Gabriel Paccard, due uomini di Chamonix, arrivano sui 4810 metri della cima. Ripartono 24 minuti più tardi, dopo alcune misurazioni scientifiche e aver legato un drappo rosso a un alpenstock. Galoppano in discesa sulla rampa dell’Ancien Passage e sui pendii del ghiacciaio, dove i crepacci sono molto meno insidiosi di oggi. Poco dopo mezzanotte, tornano sulle rocce della Montagne de la Côte, l’indomani vengono accolti trionfalmente a Chamonix.
La prima ascensione del Monte Bianco, da sempre, viene considerata la data di nascita dell’alpinismo. E’ giusto. L’ascensione di Francesco Petrarca al Mont Ventoux (1336) è una camminata facile, quella di Antoine de Ville e compagni al Mont Aiguille (1492) è un’impresa militare con scale di legno e carpentieri, quella di Francesco de Marchi al Corno Grande (1573) è un’impresa importante ma che non cambia il rapporto tra l’umanità e la montagna.
La prima salita del Monte Bianco, che nasce nel 1760 quando Horace-Bénédict de Saussure offre una “considerevole ricompensa” a chi scoprirà la via per la vetta, è invece la data giusta. Per ottenere il premio, cacciatori e cristallieri di Chamonix si spingono sui ghiacciai, attrezzati soltanto con gli alpenstock.
La curiosità per la vittoria fa entrare il Monte Bianco e le sue “glacières” nell’itinerario del Grand Tour, e dà quindi vita al turismo alpino. La trasformazione dei montanari in guide e imprenditori del turismo, e delle più alte valli d’Europa in quelle che conosciamo e visitiamo oggi inizia grazie a de Saussure, a Paccard e a Balmat.
Un po’ del merito, forse, va attribuito anche al colonnello e astronomo londinese Mark Beaufoy, che nell’estate del 1787 compie la terza salita ai 4810 metri della cima, e inaugura il lunghissimo elenco delle ascensioni compiute dai britannici sulle Alpi.
Nelle celebrazioni per l’anniversario, che viene festeggiato anche quest’anno, è giusto ricordare due falsi storici clamorosi. Il primo, diffuso dallo scrittore Alexandre Dumas padre, vuole che l’ascensione del 1786 sia merito del solo Jacques Balmat, e che Michel-Gabriel Paccard (studente di medicina, ma abile e allenato montanaro) sia stato più o meno issato di peso dal compagno.
E’ una balla colossale, una riscrittura della storia degna dei tempi di Stalin, che viene eternata nel bronzo nel 1887 dal monumento che viene eretto a Chamonix (lo vedete nella foto), in cui il solo Balmat indica a de Sassure la via per la cima. La vicina statua di Paccard verrà eretta, senza scuse ufficiali, solo un secolo dopo.
La seconda balla risale al 1986, e alle feste per il bicentenario della prima salita. Le autorità di Chamonix e di Parigi disegnano con dei potenti riflettori una striscia bianca, rossa e blu lungo la via dei primi salitori. E’ uno spettacolo suggestivo, ma è un altro falso storico, perché nel 1786 (e fino al 1860) Chamonix e la sua valle fanno parte del Regno di Sardegna, governato da re Vittorio Amedeo III. Re Luigi XVII di Francia, futura vittima della ghigliottina, in quei giorni vive tra Parigi e Versailles, e con il Monte Bianco non ha proprio niente a che fare.