Quasi un anno e mezzo fa, alla fine di giugno del 2019, il CIO (Comitato Internazionale Olimpico) ha assegnato i Giochi invernali del 2026 a Milano e a Cortina. L’idea di suddividere le competizioni tra due Regioni (Lombardia e Veneto) e due Province autonome (Trento e Bolzano) sembrava garantire un impatto ambientale limitato grazie all’utilizzo di impianti preesistenti, come il trampolino di Predazzo e lo stadio del fondo di Tesero in Val di Fiemme.
Il Dossier Olimpico presentato al CIO, e che si legge sul sito www.milanocortina2026.org, parla di “utilizzo di strutture esistenti o temporanee” e di “esclusione di qualsiasi impatto sui parchi naturali o altre aree protette”. Nel Codice Etico, che si legge sullo stesso sito, i promotori dei Giochi aderiscono “anche attraverso sponsor, partner e fornitori, a garantire scelte sostenibili lungo tutto il ciclo di vita dell’evento”.
A Cortina, come a Bormio e Livigno, le due località lombarde coinvolte, non mancano certo le piste in grado di ospitare competizioni di alto livello. Qualche intervento per modernizzare gli impianti o migliorare dove necessario i tracciati poteva essere compatibile con la “sostenibilità” sbandierata sui documenti ufficiali.
Invece, chi negli ultimi mesi ha visitato le Dolomiti di Cortina, soprattutto tra le Cinque Torri e le Tofane, si è accorto che è stata scelta un’altra strada. Quella dei nuovi impianti di risalita, e delle nuove piste realizzate devastando i boschi.
Le immagini, che finalmente circolano, dimostrano che qui di “sosteniblità” ce n’è ben poca. Dai cantieri, che sono andati avanti anche durante il lockdown, sono stati tenuti lontani giornalisti, fotografi e operatori. Le rare manifestazioni ambientaliste di protesta sono state trattate con una durezza sproporzionata. Certo, gli interventi sono stati realizzati fuori dal Parco delle Dolomiti d’Ampezzo, e fuori dal complesso Pelmo-Croda da Lago, una delle aree delle Dolomiti che sono state inserite nel Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Ma il risultato è desolante.
Il Governo, nonostante la preoccupazione per il COVID-19, dovrebbe spiegare agli italiani com’è stato possibile destinare ingenti risorse pubbliche a un progetto che ha un impatto ambientale devastante. Da anni, in tutti i comprensori delle Dolomiti (Alto Adige, Trentino, Friuli-Venezia Giulia, Veneto) il titolo ricevuto dall’UNESCO viene inserito in tutta la promozione turistica. Non conosco i meccanismi di valutazione del CIO, ma immagino che il titolo ricevuto abbia pesato anche nell’assegnazione dei Giochi 2026.
“I nove sistemi montuosi che compongono le Dolomiti Patrimonio dell’Umanità comprendono una serie di paesaggi montani unici al mondo e di eccezionale bellezza naturale” recita il documento approvato nel 2009 dall’UNESCO a Siviglia. Sono parole sacrosante. Ma dov’è, cari presidenti di Regione e Provincia, e cari sindaci delle Dolomiti, il limite di interventi oltre il quale questa “eccezionale bellezza” diventa un po’ meno eccezionale? Siamo sicuri che l’UNESCO, prima o poi, non possa pensare di ritirare il titolo?