Il Pollino, che oggi è protetto dal più vasto Parco nazionale italiano, ha rischiato di diventare “Pollinia”. Il nome, un’imitazione di Cervinia, compare nel primo progetto di una “città della neve” elaborato nel 1968 dal Consorzio del Nucleo Industriale del Golfo di Policastro.
Il secondo progetto, presentato due anni dopo dalla OTE, una società del gruppo EFIM, un colosso delle Partecipazioni statali, prevede un carosello di piste, impianti e zone residenziali occupino nel versante lucano del Pollino, con 40 impianti di risalita, e 10.000 posti-letto in alberghi e seconde case.
Per i giovani di oggi, per chi frequenta un Appennino in gran parte tutelato (non sempre nel modo migliore, ma quella è un’altra storia), è difficile immaginare quanto sia stata grande la minaccia qualche decennio fa.
Su gran parte dei massicci tra i Sibillini e la Calabria, l’incontro tra gli interessi della speculazione, l’ignoranza degli amministratori, l’arretratezza culturale delle popolazioni locali ha rischiato di causare una catastrofe ambientale. A renderla possibile è stata l’abbondanza di denaro pubblico, elargito dalla Cassa per il Mezzogiorno o da altri enti.
Al Gran Sasso, negli anni Settanta, nascono i progetti per impianti di risalita a Campo Pericoli (con tunnel antivalanga in Val Maone), al Venacquaro e nella conca del Voltigno. Sulla Majella si punta al Monte Focalone e all’anfiteatro delle Murelle. Sui Sibillini, dopo gli impianti di Frontignano di Ussita e la funivia del Monte Bove Sud, si progettano skilift in Val di Bove, con un tunnel sotto al Monte Bicco.
Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, un carosello di impianti dovrebbe salire da Pescasseroli verso il Monte Marsicano, e una funivia con partenza da Barrea dovrebbe raggiungere l’Aremogna. Sulla Magnola si pensa a un impianto da Forme. Dal Piano di Camposecco, sui Simbruini, altri skilift dovrebbero salire verso il Monte Autore.
Intorno al Lago della Duchessa, dovrebbe nascere una stazione sciistica progettata dall’alpinista e guida Gigi Panei, collegata da una funivia al casello di Valle del Salto della A24. Sui Monti della Laga, un piccolo progetto di impianti prende di mira le alture tra Campotosto e Amatrice. Un altro, dall’impatto molto maggiore, punta l’intero versante teramano del massiccio, inclusi i boschi di Langammella e Martese.
A bloccare questi progetti sono iniziative e soggetti diversi. A Pescasseroli, la campagna “SOS Marsicano” viene orchestrata da Franco Tassi, vulcanico ddirettore del Parco, con l’appoggio del WWF e del CAI. Sulla Majella, l’accordo tra i Comuni di Fara San Martino e Palombaro con il Corpo Forestale dello Stato fa nascere due Riserve Naturali dello Stato, e blocca gli impianti voluti dal potente ministro Remo Gaspari.
A bloccare i progetti sui Monti della Laga, qualche anno dopo, sono una grande manifestazione promossa da Mountain Wilderness e alcuni articoli usciti sulla stampa. Una vicenda nella quale ho avuto un piccolo ruolo.
I veri protagonista delle battaglie per salvare l’Appennino sono i soci della sezione di Ascoli Piceno del CAI. Dopo aver bloccato (in ritardo, purtroppo) la strada che deturpa il Monte Sibilla e il poligono di tiro del Pian della Gardosa, organizzano nel 1982 la camminata-manifestazione da Campo Imperatore ai Prati di Tivo che dice il primo “no” agli impianti di Campo Pericoli.
Nel 1986, a Frontignano, sono ancora gli ascolani a organizzare una manifestazione contro gli impianti in Val di Bove. Accanto a Luciano Carosi e a Carlo Alberto Pinelli, siedono politici come Stefano Rodotà, Antonio Giolitti, Franco Bassanini e Massimo Teodori.
Intanto, anche grazie a questi personaggi, il Parlamento inizia a pensare ai nuovi Parchi, e quindi a un modello di sviluppo diverso per le montagne. Prima e dopo la legge-quadro sulle aree protette (1991), i nuovi Parchi nazionali e regionali bloccano definitivamente i progetti che abbiamo elencato poco fa.
L’importanza della mobilitazione ambientalista, e l’attenzione della magistratura e della politica per l’ambiente, non dev’essere sopravvalutata. A bloccare lo scempio dell’Appennino è anche la diminuzione dei finanziamenti pubblici “a pioggia”, elargiti soprattutto nel Mezzogiorno.
L’altro elemento, ben noto a chi frequenta l’Appennino, è che dove gli impianti e le piste da sci vengono costruiti, l’auspicato risultato economico in molti casi non c’è. Al posto delle “piccole Cortina” auspicate da politici e amministratori, nascono distese di cavi e piloni in abbandono.
Un breve itinerario tra il Terminillo e il Matese, dove gli impianti di Campitello rischiano di essere abbandonati, consente di scoprire la ruggine e la desolazione del Monte Tilia, di Monte Cristo e della Fossa di Paganica, di Passo Godi, della Tavola Rotonda e di Marsia.
Anche gli impianti di Scanno rischiano di trasformarsi in ruggine. Prato Selva, ai piedi del versante settentrionale del Monte Corvo, è un ecomostro nel cuore di uno dei più bei Parchi d’Europa.
Il massimo dell’orrore, però, è la funivia del Monte Bove Sud, con i suoi enormi piloni abbandonati e il cumulo di vetro, cemento e ruggine della stazione di arrivo, a 2100 metri di quota. Sarebbe bene andare a dargli un’occhiata, prima di chiedere fondi pubblici per creare nuovi caroselli di impianti.