In Italia se ne sono accorti in pochi. Ma qualche giorno fa Joseph Szwarc, un signore francese di 94 anni, ha dato un contributo importante alla battaglia contro le bugie e la prepotenza dei No-Vax.
Nel luglio del 1942, quando era un ragazzo, Szwarc è stato uno dei 13.152 ebrei francesi vittime della retata del Vélodrome d’Hiver, organizzata dalla Gestapo, dalle SS e dalle milizie della Francia collaborazionista di Vichy.
Al contrario della maggioranza degli altri, trasferiti ad Auschwitz e poi eliminati, Joseph Szwarc è riuscito a tornare a casa vivo. Cinque giorni fa, parlando a una manifestazione in memoria delle vittime della retata, ha denunciato con le lacrime agli occhi l’uso da parte dei No-Vax del simbolo più doloroso di quegli anni.
Come tutti sappiamo, per volere di Hitler e dei suoi complici, gli ebrei dovevano cucire sui vestiti una stella di David gialla. Lo stesso simbolo compariva sulle divise degli internati di Auschwitz, di Dachau e degli altri campi di sterminio. Le vittime dell’Olocausto, ricordiamolo per chi finge di non sapere, sono state almeno 15 milioni. Tra loro 6 milioni di ebrei.
Nel 2021, tre quarti di secolo dopo il crollo della Germania nazista e la liberazione dei sopravvissuti dai campi, i manifestanti No-Vax, in Francia e non solo, hanno iniziato a indossare delle stelle di David per mostrarsi al mondo come le vittime di una persecuzione sanitaria.
“Non potete rendervi conto di quanto tutto questo mi ha commosso” ha detto Joseph Szwarc durante la commemorazione. “Questo paragone è odioso! Dobbiamo sollevarci tutti contro questa ignominia! Ho portato la stella, so cosa significa, ce l’ho ancora nella carne. Usarla in questo modo fa parte di un’ondata oltranzista, antisemita e razzista”.
Come milioni di umani che hanno sofferto nell’ultimo anno e mezzo a causa del Covid-19, ho delle serie difficoltà a capire gli argomenti dei No-Vax. Quando ero bambino, alla fine degli anni Cinquanta, i vaccini hanno salvato me e milioni di altri dalla poliomielite e dal vaiolo.
Più di vent’anni fa, quando i miei figli erano piccoli, li ho sottoposti volentieri alle vaccinazioni obbligatorie, ben sapendo che qualche rischio esisteva. Da adulto ho viaggiato spesso in Africa, e per salire il Kilimanjaro e il Monte Kenya o per ammirare i leoni del Masai Mara e di Ngorongoro, mi sono sottoposto volentieri al vaccino (pesantissimo) contro la febbre gialla, e alla profilassi antimalarica con il Lariam, un’autentica bomba per l’organismo.
Di fronte a tutto questo, e di fronte ai milioni di morti per Covid-19 nel mondo, presentare il capriccio di non vaccinarsi come una scelta di libertà è surreale. In Italia, dove il rapporto degli individui con la legge è sempre stato traballante, equivale a rivendicare la “libertà” di scaricare rifiuti tossici nei campi, di costruire palazzine sulle spiagge o di cacciare animali rari.
Ascoltare i leader di partiti che apprezzano i regimi autoritari di ieri (Mussolini) e di oggi (Orban) lamentarsi contro possibili “provvedimenti orwelliani” è ancora più surreale e doloroso. Anche l’invocazione di una “via italiana al Green Pass” diversa da quella francese o di altri ha poco senso. Non stiamo parlando di ricette di cucina ma della vita, che è uguale a Roma come a Parigi o a Berlino.
Oggi, al termine di una settimana convulsa, Mario Draghi e il suo governo devono prendere dei provvedimenti decisivi. E’ doloroso, certamente, ma decidere che chi sceglie liberamente di non vaccinarsi non può entrare in un ufficio, in un bus, in un ristorante o in un treno (e tantomeno in un ospedale o in una scuola) è l’unica strada possibile. Mi auguro che Draghi e i suoi colleghi, prima di decidere, ascoltino le parole e le lacrime di Joseph Szwarc.