Nei prossimi giorni, su montagna.tv, farò ancora una volta il punto sulla vicenda dei Pantani di Accumoli, la conca al margine meridionale dei Monti Sibillini minacciata da un rifugio-albergo e da una strada volute dal Comune di Accumoli e appoggiate e finanziate dalla Regione Lazio. Intanto, c’è un aspetto importante da sottolineare.
Più volte, nelle scorse settimane, gli ambientalisti del Lazio, delle Marche e dell’Umbria hanno tentato un confronto con gli enti locali interessati al progetto. L’incontro online più importante, fortemente voluto dall’amico Paolo Piacentini, si è tenuto lo scorso 12 luglio, con la partecipazione di rappresentanti di associazioni ambientaliste e dell’escursionismo come CAI, WWF e Federtrek, e di gruppi e comitati locali come Emidio di Treviri e Laga Insieme.
Nella discussione, oltre a Franca D’Angeli, sindaca di Accumoli, è intervenuta Roberta Lombardi, assessora alla Transizione Ecologica della Regione Lazio. A chiudere la discussione invece, è stato Claudio Di Berardino, assessore al Lavoro, alla Scuola e alla Ricostruzione della giunta di Nicola Zingaretti.
Nel suo intervento, l’ex-sindacalista reatino ha detto una cosa importante, e profondamente sbagliata. “Su queste cose devono decidere i territori”. Non è vero, o almeno non è sempre vero.
Sulle questioni che riguardano l’ambiente e il paesaggio, accanto alla fondamentale opinione delle comunità locali e di chi le amministra, deve avere un peso quella delle Regioni, dello Stato, degli ambientalisti, dei cittadini del resto del pianeta. E’ una regola che vale per l’Amazzonia e per l’Himalaya, per l’Artico e per le savane africane, e naturalmente per le Alpi e l’Appennino.
Se gli ambientalisti italiani e non solo criticano i lavori in corso sulle Dolomiti in vista delle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina hanno il pieno diritto di farlo. Lo stesso vale per gli animalisti (e non solo) che criticano legittimamente gli interventi della Giunta della Provincia di Trento in materia di orsi e lupi.
L’assessore Claudio Di Berardino non è un ragazzo, e ha certamente memoria di quanto è accaduto sull’Appennino, dentro e fuori dai confini del Lazio, trenta o quaranta anni fa. In quegli anni, se i “territori” avessero avuto mano libera, e avessero trovato dei finanziamenti adeguati, le nostre montagne sarebbero state letteralmente fatte a pezzi.
Se la Regione Abruzzo e le Province abruzzesi avessero avuto l’ultima parola, piste e impianti da sci avrebbero deturpato per sempre Campo Pericoli sul Gran Sasso e il Monte Focalone sulla Majella. Se il Comune di Pescasseroli avesse fatto ciò che voleva fare, altri impianti avrebbero stravolto il Monte Marsicano, il cuore selvaggio del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Nelle Marche, dopo la vetta meridionale del Monte Bove (nella foto) gli impianti di Frontignano avrebbero raggiunto la Val di Bove. Nel Lazio, che forse l’assessore conosce meglio delle Regioni vicine, piste e impianti avrebbero “decorato” il Lago della Duchessa, il versante amatriciano della Laga e il Monte Autore.
Lo stesso sarebbe accaduto al versante settentrionale del Terminillo, oggi preso di mira dal progetto TSM2. Un obbrobrio contro il quale, ricordo, la Regione Lazio non ha mai avanzato obiezioni di sostanza.
Al danno si sarebbe aggiunta la beffa, perché a causa della mancanza di neve, e della forte riduzione della domanda di sci di pista, oggi questi impianti sarebbero in gran parte abbandonati, come quelli di Monte Piselli e di Scanno, di Prato Selva, di Monte Cristo e di Marsia.
Nello stesso periodo, se altri “territori” avessero avuto mano libera, sarebbe stato cementificato il poco che resta delle coste della Sardegna, della Sicilia, della Calabria e di altre parti d’Italia. Sul Pollino, tra Basilicata e Calabria, sarebbero nate le piste e gli skilift di “Pollinia”, un’orrenda scimmiottatura di Cervinia.
Per fortuna, alle esigenze sbagliate dei “territori”, qualcuno ha saputo democraticamente contrapporre una logica diversa. Nel 1991 il Parlamento ha approvato la legge-quadro sulle aree protette, prima e dopo quella data sono nati una ventina di Parchi nazionali che hanno cambiato per sempre l’Italia.
Già prima di questi eventi, coraggiosi funzionari del Corpo Forestale dello Stato avevano dato vita a decine di Riserve naturali. Il progetto di sfasciare il Monte Focalone è stato bloccato così, facendo nascere le Riserve del Feudo Ugni e di Fara San Martino.
Ascoltare i territori, con o senza virgolette, è necessario. Qualche volta, però, la Regione Lazio e i suoi assessori dovrebbero dare spazio alle opinioni dei cittadini che vivono a decine o centinaia di chilometri da lì. Qualche volta, potrebbero ascoltare anche gli innamorati della montagna e dell’ambiente che vivono in altre parti d’Italia, d’Europa o del mondo. Sono queste persone, cari Di Berardino, Lombardi e Zingaretti, i potenziali visitatori in grado di rimettere in piedi l’economia dell’Appennino.