Se non ci fosse dietro una tragedia, e se non fossero in gioco i diritti di migliaia di appassionati dei monti, potremmo cavarcela con una risata. Invece l’ordinanza approvata il 26 agosto dal Comune di Massa d’Albe (L’Aquila), che prevede il divieto di accesso dal 15 novembre al 30 aprile di ogni anno “per motivi di sicurezza pubblica legati al pericolo di slavine” alla Val Majelama (nella foto), al Peschio Rovicino e al Pizzo Cafornia merita la massima attenzione.
Ho sempre detto le cose come stanno, continuo a farlo ora. Il provvedimento firmato dal sindaco Nazzareno Lucci è un insulto al buonsenso, un errore amministrativo e politico, una speculazione sui sentimenti dei cittadini di Avezzano e della Marsica che sanno poco di neve e valanghe e sono ancora sconvolti dalla tragedia dello scorso gennaio. In più, e dev’esser detto anche questo, non contribuisce affatto alla sicurezza in montagna.
Tutti ricordano la tragedia dello scorso gennaio, quando quattro alpinisti di Avezzano, Tonino Durante, Gianmarco Degni, Valeria Mella e Gianmauro Frabotta, hanno fatto un errore terribile e che è costato loro la vita. Si sono addentrati in Val Majelama quando i pendii che la dominano erano stracarichi di neve instabile, e sono stati travolti e uccisi da una colossale valanga.
Le ricerche, pericolose a causa del rischio di nuovi distacchi, sono durate settimane e hanno commosso l’Abruzzo e l’Italia. Dopo il ritrovamento dei corpi, la Regione Abruzzo, nella persona dell’assessore Guido Liris, ha varato un programma per la sicurezza in montagna che comprende un coordinamento tra le varie forze di soccorso, l’obbligo di avere con sé ARTVA, sonda e pala, “cancelli” di verifica all’inizio degli itinerari e formazione per i giovani.
Non ho notizie recenti, e spero che l’iniziativa della Regione vada avanti. Devo dire con la massima chiarezza, però, che l’ordinanza del Comune di Massa d’Albe con la sicurezza in montagna non ha nulla a che fare. Negli anni scorsi, sono state emesse e criticate le ordinanze di Comuni come L’Aquila, Ovindoli e Roccaraso che vietavano sci e altre attività fuoripista dopo delle forti nevicate, equiparando le ciaspolate in piano al freeride.
Un divieto preventivo e a tappeto, dall’autunno alla primavera, non ha precedenti. Sembra un modo per ammiccare al dolore di chi non sa nulla di montagna, e per spostare il problema qualche chilometro più in là, magari sul Sirente, sulla Majella o sul Gran Sasso. Per avere una “sicurezza” totale ci sarebbe bisogno di vietare l’accesso d’inverno a tutta la montagna abruzzese. Nello stesso modo, in estate, bisognerebbe vietare le spiagge, dove il rischio di annegare è inevitabile. Questo naturalmente significa uccidere il turismo, ma ognuno si deve prendere la responsabilità dei propri atti.
La sicurezza, caro sindaco Lucci, si raggiunge in maniera diversa, spingendo (anche con obblighi e sanzioni, se serve) i frequentatori della montagna a rispettare le condizioni del terreno e del meteo.
Sono d’accordo con Pierluigi Taccone, guida alpina e grande esperto del Velino, che ha chiesto l’immediato ritiro dell’ordinanza. Prendo atto del comunicato della Sezione CAI di Avezzano, invitata a discutere del provvedimento, e che lamenta di essere “stata sottoposta contro la propria volontà a una decisione inattesa e unilaterale, senza potersi in alcun modo opporre o far valere le proprie ragioni”.
Come tutti sanno, la questione non riguarda solo il Comune di Massa d’Albe. La Riserva naturale Monte Velino, nata nel 1987, è stata gestita dal Corpo Forestale dello Stato, e ora è gestita dai Carabinieri Forestali. Al suo interno sono state compiute operazioni importanti come le reintroduzioni dell’avvoltoio grifone e del cervo. Interventi che ho commentato positivamente in articoli, libri, guide e in un documentario per “Geo&Geo” di Rai Tre.
Da qualche tempo, però, nella Riserva sono state introdotte regole sempre più repressive. All’inizio dei sentieri, dei cartelli minacciano i contravventori di multe fino a 12.500 euro e reclusione fino a 32 mesi.
Due anni fa il divieto di accesso alla Val di Teve, causato dal pericolo di caduta massi, è stato allargato a ottobre. Che senso ha, dato che ottobre è un mese meraviglioso per camminare tra i boschi, e le pietre possono cadere anche a luglio e ad agosto? La recente ordinanza del Comune di Massa d’Albe è la fotocopia di una comunicazione partita il 23 luglio dall’Ufficio per la Biodiversità di Castel di Sangro, che gestisce la Riserva.
Ho il massimo rispetto per i Carabinieri Forestali, so quanto le Riserve Naturali dello Stato siano state (e siano ancora) importanti per la natura italiana. Ma ha senso, ed è legittimo, mischiare le considerazioni relative alla tutela ambientale, per cui le Riserve sono state create, a quelle della sicurezza in montagna?
Siamo in un Paese democratico, e pensare di fare del Velino e delle sue valli una riserva integrale è certamente legittimo. Per farlo, però, c’è bisogno di un confronto pubblico, aperto ed esaustivo. Che ne pensano il sindaco di Massa d’Albe, e quello di Magliano de’ Marsi cui appartiene la Val di Teve. Che ne pensa la Regione Abruzzo e i Ministeri che si occupano di tutela ambientale?
Che ne pensano le guide alpine e il CAI dell’Abruzzo e delle Regioni vicine? Che ne pensano gli uomini e le donne del Soccorso Alpino che a gennaio e a febbraio hanno faticato e rischiato la pelle in Val Majelama, e che quando non sono in servizio frequentano queste montagne con passione?