Cinque anni fa, un’associazione di escursionisti campani ha raggiunto la vetta del Corno Grande. Per celebrare l’evento, i soci di Somma Trekking hanno “decorato” le rocce della via normale con il nome e il logo del loro gruppo, tracciati con la vernice rossa. L’iniziativa ha fatto indignare i frequentatori del massiccio abruzzese, nei giorni successivi la vernice è stata tolta. Poi gli escursionisti campani, debitamente pentiti, sono stati ricevuti ad Assergi, nella sede del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Una storia a lieto fine.
Sul nostro amato Appennino, da qualche anno, ha preso piede un altro modo di imbrattare le montagne. E’ l’usanza di scrivere, con vernice nera e temo indelebile, il nome e la quota di ogni vetta sulle rocce o sull’ometto del punto più alto. Non so chi e quando abbia iniziato, anche perché nessuno ha mai rivendicato questi interventi.
La prima volta che ho visto una di queste scritte, confesso, ho ringraziato gli autori, perché ero su una piattissima cima della Majella, c’era nebbia, e non sapevo bene dove fossi arrivato. Poi, negli anni, mi sono reso conto che i pennellatori stavano esagerando. Oggi i nomi e le quote (con numerosi errori, ma non è questo il punto) compaiono su tutti i “duemila” appenninici, e calano inesorabilmente di quota verso valichi, cime minori e altri luoghi. Qualcuno usa le scritte come sfondo di un selfie, o per documentare l’evento (ma perché, temete che qualcuno non vi creda?) Ad altri, sempre più numerosi, le scritte danno un grande fastidio.
Ieri mattina, 15 settembre, ho apprezzato il post con cui Giampiero Giuliani, che non conosco ma ringrazio, ha denunciato la trasformazione della croce di vetta del Corno Grande in un cumulo di adesivi e gagliardetti. Poco dopo, un altro post ha fatto sapere che il ciarpame era stato eliminato il giorno prima. Uno scambio che dimostra che il problema di lasciare libere le vette è sentito.
Torniamo alle scritte. Come ho detto, non conosco i loro autori, e non ho letto rivendicazioni dei loro interventi. Immagino che pensino di rendere un servizio a chi cammina, e che per farlo si sobbarchino una discreta fatica.
Mi spiace deludere il loro entusiasmo, non demonizzo nessuno, ma dico a questi signori (e signore) che stanno inutilmente sporcando dei luoghi di eccezionale bellezza. Li invito a cancellare le scritte, e mi stupisco che nessuno, tra i Parchi e le Riserve naturali dei nostri monti, sia ancora intervenuto per fermarli.
Certo, può obiettare qualcuno, l’Appennino ospita migliaia di segnavia bianco-rossi, e qualche pennellata in più fa poco male. In più, sulle cime, si alzano croci, punti trigonometrici dell’IGM, mausolei di vario tipo, per non parlare di ripetitori, arrivi di seggiovie e altre strutture in cemento. E’ vero ma solo fino a un certo punto.
Il vero inquinamento delle scritte sulle cime non è fisico, ma morale. Deriva dalla stessa voglia di sapere esattamente e ossessivamente in che punto della crosta terrestre ci si trovi che spinge centinaia di escursionisti a usare il GPS anche in giornate di visibilità perfetta, o a comunicare per radio in tempo reale la loro posizione a qualcuno.
Comportandosi in questo modo, i camminatori radioguidati cancellano dalle loro giornate nella natura il piacere di cercare la via, e quello di scoprire in che posto si sia arrivati. Delle cose che per me, e per tanti altri, sono componenti essenziali del piacere dell’escursionismo. Gli “zozzetti del pennellino” cancellano lo stesso piacere per gli altri.
L’amico Franco Michieli, che teorizza e pratica una francescana semplicità sui sentieri, è arrivato a traversare per migliaia di chilometri la Norvegia senza portare con sé nessun ausilio.
Non arrivo a tanto, uso regolarmente il GPS in auto, e l’ho trovato fantastico, anni fa, quando l’ho usato per la prima volta per trovare un pozzo di acqua potabile sul Sahara. Sull’Appennino, però, credo che siano più che sufficienti un po’ di senso della montagna e una mappa. Affidarsi alla tecnologia per orientarsi, questo è certo, riduce la capacità di farlo con mezzi naturali. E quando la batteria si scarica, come quando finisce la bombola di ossigeno sull’Everest, i rischi diventano molto seri.
Torniamo ai nostri spennellatori delle vette. Il fenomeno, una decina di anni fa, è nato mentre iniziava a diffondersi il gioco di collezionare i “duemila” dell’Appennino. Non so se tra il proliferare delle scritte e i promotori del Club 2000m ci sia stato un rapporto diretto. Sarebbe interessante saperlo, se non altro a fini storici.
Oggi le sezioni CAI dell’Appennino, insieme ad altre associazioni, farebbero bene a invitare gli “zozzetti del pennellino” a smettere, e potrebbero organizzare qualche giornata di ripulitura con la collaborazione delle aree protette. Qualche anno fa, a Rieti, il Club 2000m ha ospitato una bella discussione a proposito delle troppe croci sulle cime, e le scritte sembrano un tema meno controverso. Mi auguro che un intervento contro i pennelli ci sia, ma la scomparsa del post di Giampiero Giuliani dalla pagina Facebook del Club fa pensare a un atteggiamento diverso. E’ un peccato.
Intanto, ricordo agli escursionisti che esiste anche il restauro “fai da te”. Un basamento di cemento può essere pennellato di grigio, ricoprendo le scritte. Una pietra di un ometto, come quella della mia foto, può essere rovesciata, riportando la montagna al suo colore autentico. Sulla Pietra Maggiore, una bella vetta secondaria della Majella, l’ho fatto il 10 settembre. Spero che l’usanza si diffonda.