Il 15 novembre del 2021 è una giornata triste per il massiccio del Velino e per l’Abruzzo. L’entrata in vigore del divieto di accesso invernale alla Val Majelama e alle zone vicine, dai pendii del Cafornia alla Sentina, non impedisce solo agli escursionisti invernali e agli scialpinisti, quando le condizioni della neve sono sicure, di percorrere una delle valli più belle e più spettacolari del massiccio.
Le due ordinanze con cui, nella scorsa estate, il Comune di Massa d’Albe e il Raggruppamento Carabinieri Biodiversità di Castel di Sangro (cioè la Riserva Naturale Monte Velino) hanno vietato l’accesso invernale alla Val Majelama sono un triste, sbagliato e demagogico omaggio al dolore della gente di Avezzano per i quattro escursionisti uccisi da una valanga nel gennaio 2021.
Provvedimenti di questo tipo rischiano di dare un colpo durissimo, e forse fatale, alla campagna sulla sicurezza invernale in montagna, avviata dalla Regione Abruzzo nelle settimane successive alla ricerca e al ritrovamento delle vittime.
So che sul divieto della Val Majelama è in corso un confronto tra i firmatari delle ordinanze, il CAI, Corpo Nazionale Soccorso Alpino e le guide alpine, se ne verrà fuori qualcosa ne prenderò atto con piacere. Di questa vicenda, come molti sanno, mi sono occupato più volte su “Montagna.tv”, sulle pagine dell’Abruzzo de “Il Messaggero”, sul mio blog e sui social.
Oggi torno sull’argomento per ricordare un altro divieto senza senso che è in vigore da molti anni sul Velino, e che può creare, d’inverno, delle situazioni di serio pericolo.
Mi riferisco al divieto di percorrere in salita o in discesa il Canalone, l’ampio solco, visibilissimo da Massa d’Albe e da Avezzano, che sale verso la cima tra le creste Sud-sudovest e Sud. Un itinerario che non avrebbe senso seguire in estate a causa della ghiaia mobile e della presenza di rare piante pioniere, ma che offre d’inverno l’itinerario più sicuro di discesa in caso di nebbia o bufera.
Chi frequenta d’inverno il Velino sa bene che la discesa lungo la cresta Sud-sudovest è un serio percorso alpinistico con tratti di arrampicata su misto, e che raggiungere la vetta del Cafornia o la Capanna di Sevice, da cui iniziano altri due itinerari facili, richiede almeno un’ora di saliscendi su creste esposte in pieno alla tramontana.
Il divieto, in vigore da decenni, ha creato delle serie confusioni toponomastiche, dato che il Canalone, il Canalino e le due creste vengono confusi o chiamati in modi strampalati non soltanto sui social, ma su alcune guide cartacee e sulle comunicazioni di varie Sezioni del CAI.
Ma se la cultura della montagna è importante, il vero problema è un altro. Più volte, in giornate invernali di tramontana, degli alpinisti stanchi o in difficoltà, invece di scendere per il Canalone che dopo cento metri ripidi è quasi al riparo dal vento, hanno tentato di raggiungere il Vallone di Sevice camminando con la tramontana in faccia. Varie volte, in situazioni del genere, è dovuto intervenire il Soccorso Alpino.
Se vietare per l’intero inverno una valle a causa di un pericolo di valanghe che sussiste solo saltuariamente non ha senso, proibire la via normale di discesa da una cima a carattere alpinistico (e d’inverno il Velino lo è) è un atto molto più grave. Stupisce che né il CAI, né le guide alpine, né il Soccorso Alpino abbiano mai fatto notare questo controsenso alla Riserva Naturale e al Comune.
Per quel che mi riguarda, già nell’ultima edizione di “A piedi in Abruzzo”, uscita nel 2008, ho scritto che “Il Canalone, vietato dalla Riserva, resta la via di discesa più sicura in caso di neve e di ghiaccio”. Più tardi, più volte, ho ripetuto la stessa indicazione in articoli di giornale e su altri libri.
Prima dell’uscita della guida del 2008, ho inviato copia delle bozze alla Riserva Naturale Monte Velino, all’Ufficio Stampa del Corpo Forestale dello Stato (poi sostituito dai Carabinieri Forestali) e all’ufficio del CFS di Castel di Sangro. Ma nessuno mi ha risposto.
Da allora, varie volte, dopo essermi accertato della sicurezza del pendio sono sceso rapidamente dalla vetta lungo la neve del Canalone, ritrovando il sentiero della Cresta Sud sopra alle roccette che conducono al Canalino. Grazie alla neve, ovviamente, i miei ramponi non hanno toccato la vegetazione protetta. La foto che accompagna queste righe si riferisce a una di quelle giornate.
La sicurezza è importante, sul Velino come sul Gran Sasso, sul Monte Bianco o sull’Everest, e la tutela dell’ambiente montano lo è almeno altrettanto. Forse è ora che qualcuno, poco importa se in abiti borghesi o in divisa, inizi a occuparsi delle due materie con un pizzico di attenzione in più.