Qualche giorno fa, il leader di un grande Paese democratico ha sottolineato i passi in avanti fatti nella difesa dei grandi carnivori. Non si trattava di Giorgia Meloni ma di Narendra Modi, il primo ministro dell’India, che in un discorso tenuto a Bengaluru, la “capitale tecnologica” del paese, ha ricordato che il numero delle tigri è salito del 6,74% (da 2.967 a 3.167) dal 2018 al 2022, e addirittura del 124,5% dal 2006.

Il primo ministro di New Delhi ha anche ricordato che oggi l’India ospita il 70% delle tigri che vivono in libertà sul pianeta, che le aree protette che le ospitano sono salite da 28 a 51, che negli ultimi anni il numero dei leoni in India è aumentato del 29% e quello dei leopardi del 63%. Nel 2022 è stato reintrodotto il ghepardo, che in Asia era ufficialmente estinto dal 1952.

Certo, gestire i grandi carnivori non è facile nemmeno in Asia. Ogni anno in India le tigri fanno delle vittime umane, e l’anno scorso è stata finalmente abbattuta la “mangiatrice di uomini” di Champaran, nello Stato del Bihar, che aveva ucciso almeno nove persone.

Modi non è un fanatico ambientalista, ed è un leader nazionalista e di destra. Eppure, da qualche tempo, continua a sottolineare con forza il ruolo dell’India nella battaglia per conservare la natura (e in particolare la fauna), e i modi di vita tradizionali che sopravvivono nelle aree rurali del Paese.

L’Italia, se la confrontiamo con l’India, fa una figura barbina. Da una settimana, com’è giusto, le televisioni, i giornali, le radio e il web dedicano molto spazio alla tragica fine del runner trentino Andrea Papi, ucciso nei boschi di Caldes dall’orsa JJ4.

Vengono giustamente riportate dai media le posizioni di Maurizio Fugatti, presidente della Provincia di Trento, che ha deliberato l’eliminazione dell’orsa JJ4 e di altri due animali “pericolosi”, e che chiede a gran voce la riduzione del 50% degli orsi che vivono in Trentino. Animalisti e ambientalisti si oppongono, gli zoologi accettano la “rimozione” di qualche esemplare ma ricordano che dimezzare i plantigradi va contro le norme dell’Unione Europea, ed è quasi impossibile da fare in concreto.

La politica nazionale, tranne pochissime voci (i parlamentari leghisti Gianpiero Zinzi e Tilde Minasi, il loro collega Sergio Costa del M5S, ministro dell’ambiente nel governo Conte I) mantiene un silenzio assoluto. E’ una scelta grave, gravissima. Non si possono delegare le scelte sull’orso (e sul lupo) a un ente tecnico come l’ISPRA, che pur comprende ottimi professionisti. Non si possono scaricare sul Trentino e sugli altri territori i problemi legati ai grandi predatori, che sono un patrimonio (e un problema) nazionale ed europeo.

Non ho usato la parola “patrimonio” per caso. Qualche decennio fa, quando il lupo ha iniziato a rioccupare l’Appennino settentrionale e poi le Alpi, il merito è stato del WWF e di altre associazioni, di ricercatori come Luigi Boitani, di un’opinione pubblica che vedeva in questo ritorno un progresso. Ma anche dello Stato italiano, che ha vietato la caccia a questa specie, che ha istituito decine di aree protette, che ha aiutato gli allevatori a ottenere recinzioni e cani adeguati, che ha iniziato a rimborsare i danni causati dal lupo. Dal 1999 in poi, quando l’orso è stato riportato ai piedi dell’Adamello e del Brenta, si è respirato un entusiasmo analogo, in Trentino e altrove. Poi il clima, pian piano, è cambiato.   

Certo, hanno continuato ad appassionarsi a orsi e lupi le centinaia di migliaia di visitatori dei Parchi, e i tantissimi escursionisti che ne percorrono i sentieri. La straordinaria biodiversità dell’Italia (oltre ai predatori ci sono camosci e stambecchi, aquile e aironi, orchidee selvatiche e pini loricati) attirano nel nostro Paese migliaia di visitatori da tutto il mondo. Un dato che, però, viene completamente ignorato dall’ENIT e da gran parte delle statistiche ufficiali.

Non parla di biodiversità, di predatori e di aree protette il PD, a iniziare dalla neo-segretaria Elly Schlein. Tacciono su questi temi il M5S (con l’eccezione di Costa), così attento agli ulivi della Puglia, è il cosiddetto Terzo Polo, come se per la sinistra italiana le uniche questioni ambientali sul tappeto fossero quelle dell’energia e del cambiamento climatico. Reinhold Messner, icona dell’alpinismo ed ex-parlamentare europeo dei Verdi, parla dell’orso e del lupo con toni da anni Sessanta.  

La destra, che oggi governa quasi ovunque, appoggia le pulsioni anti-orso e anti-lupo che arrivano dai territori, e che Maurizio Fugatti incarna in maniera esemplare. Francesco Lollobrigida, potentissimo esponente di Fratelli d’Italia, nel suo primo tour da ministro dell’agricoltura è andato a Bolzano a parlare di un prossimo sfoltimento dei lupi. Ma è quella l’unica strada possibile? Non si può e non si deve puntare alla convivenza?  

Mezzo secolo fa, l’ambientalismo e la difesa della biodiversità non sono stati inventati a sinistra. Personaggi-simbolo del primo WWF sono stati il principe Filippo di Edimburgo nel mondo, e da noi il marchese Mario Incisa della Rocchetta, non proprio due Che Guevara. Più tardi, nel 1991, la legge-quadro sui Parchi è stata voluta e redatta a sinistra, ma questa è solo una parte della storia.

Qualche giorno fa, alla radio, ho ascoltato Gennaro Sangiuliano, ministro della cultura del governo Meloni, sostenere che le aree archeologiche e i musei sono “parte del patrimonio identitario della Nazione”. E’ un linguaggio che non mi piace, che riporta brutalmente al Ventennio fascista, ma questa è una mia sensazione, e conta poco.

La domanda a Sangiuliano, a Meloni e agli altri uomini e donne che ci governano a Roma, nelle Regioni e nelle Province autonome è un’altra. Siete proprio sicuri che lupi e orsi, per non parlare delle aquile, così presenti nell’araldica e nella letteratura, non facciano anch’essi parte del “patrimonio identitario” italiano, che dev’essere tutelato, promosso e conosciuto da tutti?

Non è il caso di intervenire per aiutare gli italiani a convivere con gli animali selvatici, e ad apprezzarli come meritano? La politica del Belpaese, a destra come a sinistra, potrebbe imparare qualcosa dall’India del premier Narendra Modi.