Qualche mese fa, all’inizio dell’estate, una bella ricerca di Ines Millesimi sulle croci di vetta dell’Appennino ha scatenato una polemica assurda. I ministri Daniela Santanché e Matteo Salvini hanno pronunciato parole senza senso, il TG1 ha insinuato che qualcuno volesse smontare la storica croce di vetta del Cervino, il CAI nazionale non ha fatto una bella figura.

Ma le croci, come anche il più laico degli alpinisti e degli escursionisti sa bene, hanno un valore profondo non soltanto per chi crede, e sono un simbolo della storia dell’Europa. Alcune, come quella del Cervino, hanno una storia importante, altre sono francamente troppo grandi e vistose. Sul Monte di Rocca Romana, presso Bracciano (l’ho raccontato qualche mese fa su questo blog), sembra che il progetto di un’enorme croce luminosa sia stato fermato proprio da Papa Giovanni Paolo II.

Altri interventi sulle vette non hanno nulla di storico o sacro. Vari amici che conoscono l’Appennino meridionale molto meglio di me (tra loro Mimmo Ippolito, Francesco Raffaele e Domenico Riga) hanno segnalato da poco su Facebook che un’associazione campana, il Trekking Group Polla, va installando delle orribili targhe sulle cime della Calabria, della Basilicata e della Campania.

L’iniziativa, purtroppo, prende esempio dalle altrettanto orribili scritte di vernice che sono comparse negli ultimi anni su tutte le cime dell’Appennino centrale. Quando ne ho vista una per la prima volta, su un cocuzzolo arrotondato della Maiella, ho ringraziato perché non ero certo di essere arrivato proprio lì. Poi mi sono reso conto che era il primo passo di uno scempio paesaggistico, e soprattutto culturale.

Oltre che su cocuzzoli dov’è possibile sbagliarsi, le scritte sono comparse su cime evidentissime e indicate da grandi croci come il Pizzo Deta, la Meta, il Corno Grande e il Velino, o addirittura da bivacchi come il Monte Amaro della Maiella. Non sono stati risparmiati luoghi solitari e selvaggi come la Vetta Centrale del Corno Grande. Né, da quel che vedo sui social, cime teoricamente vietate come il Monte Petroso.   

Due anni fa, nel settembre del 2021, ho invitato su questo blog (“Cari zozzetti del pennellino…”) i responsabili di questi interventi a farsi vivi, in modo da poterne discutere apertamente. Nessuno di loro ha alzato la mano, ed è stata una cosa bizzarra, dato che questi signori pensano evidentemente di fare un servizio utile al pubblico degli escursionisti.

Nel mio scritto di due anni fa ho invitato i responsabili del Club 2000m a prendere posizione, perché le scritte hanno iniziato a diffondersi insieme alla moda di collezionare le cime dell’Appennino, e perché sulla seguitissima pagina Facebook del Club 2000m compaiono regolarmente foto e selfie dove le scritte sono in bella vista.

Ma nemmeno Giuseppe Albrizio, Francesco Mancini e gli altri esponenti di primo piano del Club mi hanno risposto. Non so se qualcuno di loro abbia personalmente messo mano al pennello Penso, ma posso naturalmente sbagliarmi, che un intervento dei capi potrebbe frenare l’insana passione per le scritte di molti soci.

Negli ultimi tempi, confesso, mi sono concesso una piccola “guerriglia” personale contro le scritte. Ho rovesciato qualche pietra per rimettere in vista la parte pulita. Ne ho fatte ruzzolare di sotto qualche decina, ovviamente non su pendii ripidi o dove poteva passare qualcuno alla base. Non ho potuto far nulla, ovviamente, contro quelle dipinte su lastroni rocciosi.

Una volta, dalle parte del Velino, ho fatto ruzzolare di sotto la pietra con la scritta, ho continuato verso la cima successiva, e al ritorno ho incrociato un poveretto che risaliva riportando la pietra sulla cima. Confesso di non aver avuto il coraggio di presentarmi, e spiegargli che ero io il colpevole. Magari me l’avrebbe scaraventata su un piede.

Cosa si può fare per eliminare le targhe e le scritte inutili? Conosco molti amici del Sud, ho letto quello che scrivono sui social, ho l’impressione che i manufatti del Trekking Group Polla (a proposito, ma perché questi nomi in inglese?) non siano destinati a restare lassù a lungo.

So bene che gran parte delle scritte sono all’interno di Parchi e Riserve naturali, so bene che carabinieri forestali e guardiaparco hanno molto altro da fare, però sarebbe bene che chi dirige le aree protette emanasse delle regole che vietano esplicitamente di dipingere i nomi delle vette e di altri luoghi sulle rocce. Qualche anno fa, quando i soci di un’altra associazione campana hanno dipinto il proprio logo sul Corno Grande, la repressione c’è stata.

Da qualche settimana, vado scrivendo su Montagna.tv, sul Messaggero e sul mio blog della ridicola diatriba scatenata da Eberhard Jurgalski e dal “Guinness dei Primati” su chi abbia davvero raggiunto le vette dei 14 “ottomila”. Ero a Trento il 14 ottobre, quando Reinhold Messner e Ed Viesturs, che secondo i birrai lo aveva soppiantato, hanno ribadito che quel che conta sono le pareti e l’avventura, e non la posizione certificata da un GPS. Sulle nostre montagne potrebbe essere utile se il Club 2000m precisasse che, per ottenere i suoi titoli e i suoi distintivi (50, 10, 200, tutte le vette) non ci sia bisogno di presentare foto e selfie.

Ribadisco che il problema è soprattutto culturale. Credo che raggiungere una cima sia un momento di gioia, e sia il successo di una piccola e grande sfida, da condividere da soli o con gli amici. Può esserci in ballo anche una collezione, perché no? Ma la regola di portare via solo foto, e di lasciare solo le nostre impronte sulla neve (dove c’è) valga sul Monte Gennaro e sul Velino come sul Monte Bianco e sull’Everest. Le scritte non c’entrano proprio nulla.

Mi piacerebbe che, appena possibile, le associazioni degli escursionisti prendessero un’iniziativa contro le scritte sulle cime. E’ giusto discutere su perché andiamo lassù, è giusto ricordare agli escursionisti che una foto scattata al panorama, ai nostri compagni di avventura o a noi stessi può essere un ricordo più importante e più bello di uno scatto a un nome spennellato sulla roccia.

Credo sia giusto ricordare che una scritta non è una garanzia di sicurezza, e che a quella debbano provvedere i segnavia, le tracce GPS (per chi le ama e le usa) e soprattutto la conoscenza della montagna. Poi si potrebbe iniziare a cancellare le scritte, ridando pulizia e dignità a centinaia di vette del nostro amato Appennino.

Giro questo intervento agli amici che gestiscono (da presidenti, da componenti dei direttivi, da accompagnatori, da semplici soci attivi) le sezioni CAI dell’Appennino. Lo giro ai presidenti regionali del CAI di Lazio, Abruzzo, Umbria, Marche e Molise, le regioni più sfregiate dai pennellatori. Mi rivolgo alle altre associazioni attive sui nostri monti, agli accompagnatori di media montagna, alle guide ambientali escursionistiche, alle guide alpine.

Naturalmente mi rivolgo anche al Club 2000m, che è riuscito a coinvolgere nel suo progetto centinaia di appassionati, che ha indicato delle mete nuove anche a me, e che per questo merita certamente un grazie. Ma che ogni volta che c’è una questione di valori da affrontare, dai divieti imposti dai Parchi agli escursionisti fino al recupero della memoria dei soci ebrei cacciati nel 1938-’39 dal CAI, si gira dall’altra parte e non risponde. Tra un mese, a Isernia, si terrà un’affollatissima assemblea annuale del Club. Sarebbe una bella occasione per invitare i pennellatori (e gli installatori di targhe) a smetterla una volta per tutte.