Porta San Sebastiano, Porta Pinciana, Porta Portese, Porta Pia. Roma, come molte altre capitali, offre a visitatori e residenti l’incontro con decine di porte grandiose e ricche di storia. Forzando un po’, si potrebbero inserire nell’elenco gli archi di Costantino e di Tito, due elegantissime porte che avevano una funzione diversa.

Queste righe, però, sono dedicate a una “porta” infinitamente più umile, creata dagli interventi spontanei di runner, camminatori e appassionati della mountain-bike. Una porta che non figura nelle mappe ufficiali, che il Comune di Roma e il Parco regionale dell’Appia Antica hanno tentato più volte di chiudere, ma che è stata da qualche tempo “consacrata” dai cartelli della Francigena del Sud, che suggeriscono agli escursionisti di passare (giustamente) proprio da lì.

La “porta” di cui sto raccontando, e che vedete nella foto, si apre nell’angolo più meridionale del Parco della Caffarella, a un quarto d’ora di cammino (in bici o di corsa ci vuole ovviamente di meno) dal magnifico casale medievale della Vaccareccia, di cui il sindaco Roberto Gualtieri, qualche mese fa, ha annunciato il restauro. Tra il casale e la “porta” sono il Ninfeo di Egeria e altri monumenti antichi. L’esistenza di quel varco è legata a un’esigenza antica quanto il mondo. Sopravvivere.

Di fronte alla porta, infatti, si incrociano due strade strette e percorse da un traffico intenso e veloce come la Via Appia Pignatelli e la Via dell’Almone. Quest’ultima, oltre l’incrocio, prosegue con la tranquilla Via di Cecilia Metella, che conduce in breve al tratto più bello e famoso dell’Appia Antica.

All’incrocio, un semaforo consente a chi va a piedi o in bici di attraversare senza pericolo. Uscire dalla Caffarella sull’Appia Pignatelli o su Via dell’Almone, come suggeriscono le mappe ufficiali, costringe invece i pedoni e i ciclisti a rischiare la pelle, come ricordano fin troppo bene i terribili dati sulle vittime della strada nella Capitale. Non ho idea chi abbia aperto per primo quel preziosissimo varco nella rete di cinta della Caffarella, esponendosi a una denuncia penale. Il suo coraggio, però, merita certamente un applauso.

Nel 2006, quando ho pubblicato per la Iter di Subiaco la mia guida “Sentieri di Roma”, patrocinata dal Comune di Roma e con prefazione del sindaco Walter Veltroni (che onore!), la titolare della casa editrice e l’Assessorato comunale all’Ambiente non hanno voluto che il mio testo e la mappa che lo accompagnava citassero la “porta” spontanea della Caffarella. Spero, ma non ho modo di saperlo, che nessun camminatore sia stato investito da allora, né sull’Appia Pignatelli né su Via dell’Almone, per aver seguito quelle indicazioni sbagliate.

Abito lontano dalla Caffarella e dall’Appia Antica, ma la bellezza della zona mi spinge a tornarci spesso. L’ultima volta, nel novembre 2023, ho scoperto che dei vistosi cartelli “Via Francigena”, ovviamente riferiti alla Francigena del Sud, indicano la via che conduce dalla Vaccareccia al Ninfeo, a un grande rudere romano su un prato e infine alla nostra “porta” spontanea.

E’ giusto, perché anche l’inizio ufficiale della Francigena del Sud, che segue l’Appia Antica da Porta San Sebastiano toccando la sede del Parco e la chiesa del “Domine Quo Vadis?” è sgradevole e pericolosa per gli escursionisti a piedi e in bici. Anche nei giorni festivi quando il traffico è teoricamente vietato, ma i pochi autorizzati sfrecciano a una velocità da autodromo.

Chi ha scelto di piazzare i cartelli della Francigena proprio lì ha fatto una scelta giusta, e che rispetta la storia del mondo. Le grandi arterie stradali, e le opere che le corredano, vengono lastricate da re, imperatori e papi, ma nascono seguendo i piedi dei viandanti, e gli zoccoli dei loro cavalli. E’ accaduto al Gran San Bernardo, sui tratturi dell’Abruzzo e sulle Vie della Seta, vale per il collegamento tra Caffarella e Appia Antica attraverso la “porta” spontanea aperta da qualche ignoto  benemerito in una rete.