Dicono che l’Italia sia un Paese civile, e che Cortina d’Ampezzo, la “perla delle Dolomiti” sia uno dei suoi luoghi più belli. Dicono che i Giochi Olimpici moderni, dal lontano 1896 a oggi, siano un momento di pace, di serenità e di bellezza.

Non sono nato ieri e non mi illudo. So bene che i Giochi sono sempre stati delle colossali vetrine per il business, come insegnano quelli del 1996 ad Atlanta, “scippati” ad Atene (che avrebbe dovuto celebrare il centenario) dai dollari della Coca Cola. L’uso politico e di potere delle Olimpiadi è ancora più evidente, dai giochi estivi di Berlino 1936 cari ad Adolf Hitler a quelli invernali di Sochi nel 2014 voluti da Vladimir Putin.

So anche che gli interventi realizzati per i Giochi, dagli impianti estivi e invernali (stadi, palazzi dello sport, trampolini…) fino alle infrastrutture (strade, aeroporti, villaggi olimpici…) sono sempre stati delle colossali occasioni di business. Molte città, da Roma nel 1960 a Barcellona nel 1992 ne hanno approfittato per ammodernarsi seriamente. Non sono mancate cattedrali nel deserto, e impianti costruiti nel nulla come le piste di discesa di Xiaohaituo, utilizzate nei Giochi invernali di Pechino 2022.

A rendere tristemente speciale la vicenda della pista da bob che dovrebbe essere utilizzata per i Giochi di Milano-Cortina 2026 è la necessità di sacrificare un bosco di larici secolari. E (soprattutto) il fatto che l’impianto forse per le Olimpiadi non verrà utilizzato, perché il sì del Comitato Olimpico Internazionale è appeso a un filo, e quasi certamente non verrà utilizzato in futuro, perché i praticanti italiani di bob, slittino olimpico e skeleton sono poche decine, e mantenere in efficienza la pista costerebbe 1,4 milioni di euro all’anno.

Come tutti sanno, la decisione di rifiutare le offerte (ovviamente interessate, ma non è questo il punto) arrivate dall’austriaca Innsbruck e dalla svizzera Sankt Moritz, e di intestardirsi a realizzare a tutti i costi la nuova pista a Cortina è stata una scelta totalmente politica. Un misto di passione per la “Nazione”, che dovrà ospitare il 100% degli eventi (“Non passa lo straniero!” recitava la Canzone del Piave), e di vecchio nuovo “celodurismo” della Lega di Matteo Salvini e Luca Zaia, per una volta uniti nella lotta.

Rende ancora più sgradevole l’operazione il fatto che il cantiere sia stato bloccato a poche ore dall’apertura dal Comune di Cortina d’Ampezzo per delle irregolarità formali, e che, proprio per questo motivo, l’abbattimento dei larici sia iniziato prima dell’alba, e sia stato completato prima dell’arrivo dei vigili urbani. Se questa è trasparenza…

Commuove, e fa sperare nel futuro, quel che è accaduto dopo lo scempio, quando il violoncellista Mario Brunello, appena rientrato in Veneto da un concerto a Lisbona, è arrivato sul luogo dello scempio. Davanti ai larici appena tagliati, ha suonato sul suo prezioso violoncello Maggini Il cigno di Camille Saint-Saëns e il brano friulano Stelutis alpinis, un commovente canto tradizionale di montagna.

“Sono sulle Dolomiti per dare un’ultima voce a chi non ce l’ha. Gli alberi non possono chiedere pietà e noi non li ascoltiamo, nemmeno adesso che avremmo disperatamente bisogno di loro” ha dichiarato il musicista ai giornalisti e agli ambientalisti presenti. Un messaggio che è certamente arrivato a Venezia, a Milano e a Roma, ma che probabilmente non è stato ascoltato.

“Mario Brunello suona isolato nel folto di Fiames ma all’improvviso gli sciatori si fermano, i boscaioli posano le motoseghe e si avvicinano, alcuni fuoristrada risalgono al bordo della pista, gli abitanti di Ronco escono dalle case, piangono e chiedono di poter ringraziare quel musicista che ha voluto onorare il loro mondo, che in un mattino se ne va” ha scritto Giampaolo Visetti su Repubblica per raccontare quel momento. Può darsi che il collega abbia un po’ esagerato. Ma nella musica c’è sempre un pizzico di magìa. E il violoncello di Brunello è stato un inno alla bellezza, e alla civiltà che prima o poi tornerà anche a Cortina e in Italia.