Poco più di quarantuno anni fa, non per merito mio, ho scattato una serie di fotografie che avevano (e hanno ancora) un certo valore storico. L’ho fatto a casa di Giuseppe Tucci, celebre esploratore del Tibet, che viveva con la terza moglie Francesca Bonardi a San Polo dei Cavalieri, borgo dei Monti Lucretili noto agli alpinisti e agli escursionisti del Lazio perché vicino ai sentieri del Monte Gennaro e alle pareti del Monte Morra.

La coppia abitava in una bella casa affacciata sulla Campagna Romana, la Bonardi aveva conosciuto il professore trent’anni prima, quando era stata la fotografa ufficiale di un viaggio verso il Mustang, una regione del Nepal dal paesaggio e dalla cultura tibetana. “Lo ha amato di un amore vorace, totalitario, possessivo” ha scritto di lei Enrica Garzilli, autrice nel 2012 della biografia “L’Esploratore del Duce”.

Avevo ventott’anni, avevo iniziato da poco a vivere di scrittura, di fotografia e di viaggi. Collaboravo da qualche mese con “Airone”, stava per uscire la prima delle mie guide “A piedi nel Lazio”, a breve avrei iniziato a scrivere per le pagine dei Viaggi di “Repubblica”.

Un giorno mi telefona Carlo Alberto Pinelli, Betto per gli amici, alpinista e documentarista famoso. Ogni tanto arrampicavamo insieme, qualche anno più tardi, tra Roma e Biella, avremmo contribuito a fondare Mountain Wilderness, associazione di alpinisti impegnati per l’ambiente, e ci saremmo dati da fare per il Monte Bianco, i Monti della Laga e il K2.

“Ciao Stefano, so che sei stato varie volte in Nepal” mi dice senza preamboli Betto. “Dopodomani arriverà a Roma re Birendra, ma non per incontrare il governo italiano. Atterrerà a Ciampino, salirà a San Polo per rendere omaggio a Tucci, poi ripartirà per Kathmandu. L’ISMEO cerca un fotografo per immortalare l’evento. Se ti va il posto è tuo”. Ovviamente rispondo di sì con entusiasmo. E così, in un mattino di fine inverno mi trovo a battere i piedi per il freddo in una strada di San Polo, sotto al portone del famoso esploratore.

Con me, oltre a Pinelli e ai rappresentanti dell’ISMEO, l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente fondato da Tucci e dal filosofo fascista Giovanni Gentile, è il maresciallo dei Carabinieri del paese, dalla cui radio arrivano informazioni criptiche. “L’autorità ha lasciato l’aeroporto di Ciampino”. “L’autorità ha appena traversato Tivoli”. C’è anche il sindaco, con tanto di fascia tricolore, intimidito dal rango del personaggio in arrivo.  

Di quella giornata ricordo il blazer dal taglio perfetto di re Birendra, il sorriso e il garbo della regina Aishwarya, i modi bruschi dei dignitari del seguito, a iniziare dal Ministro della Difesa, un arcigno generale dei Gurkha, che mi trattava come l’ultimo dei servi.

La signora Francesca, avvolta in un sari, era una padrona di casa perfetta. Tucci, vecchissimo ed emozionato, ormai non più in grado di camminare, sedeva su una poltrona, le gambe avvolte in un plaid. Birendra, nel mettergli al collo una delle più importanti onorificenze del regno, sembrava sinceramente emozionato. Qualche diapositiva e qualche foto in bianco e nero di quel giorno resiste ancora nel mio archivio.

Sembra un dettaglio poco elegante, e invece devo ricordare che il servizio fotografico di quel giorno mi è stato regolarmente pagato dall’ISMEO. Da qualche parte c’è ancora una copia della fattura che ho emesso qualche giorno dopo, è che è stata pagata la bella somma di 50.000 lire (pari a 25,82 euro, per i giovani che non l’hanno mai conosciuta) più IVA.

Un anno e mezzo dopo quell’incontro, il 5 aprile del 1984, Giuseppe Tucci se n’è andato serenamente a causa degli acciacchi e dell’età. Re Birendra e sua moglie Aishwarya, amatissimi dal loro popolo, sono invece trucidati nel palazzo reale di Kathmandu, il 1° giugno del 2001, dal figlio primogenito Dipendra, che ha fatto una strage con un fucile da guerra e poi ha rivolto l’arma contro sé stesso. Una tragedia che il Nepal ricorda ancora con dolore, e che ha contribuito a trasformare il Paese in una repubblica.

Giuseppe Tucci era nato nel 1894 a Macerata, nelle Marche, e aveva vissuto per qualche anno ad Ascoli Piceno. Una dozzina di anni fa, proprio ad Ascoli, vengo invitato a un evento in memoria di Tucci negli edifici della cartiera medievale. Partecipo a un dibattito interessante, dei monaci tibetani preparano un Mandala sul pavimento, sui muri compaiono varie foto concesse agli organizzatori dall’ISMEO. Ci sono anche due dei miei scatti realizzati a San Polo dei Cavalieri, e nelle didascalie c’è scritto “foto di autore ignoto”.

Resto a bocca aperta, mi incazzo, nei giorni successivi cerco di indagare e di far rettificare l’errore. Ma l’ISMEO è stato appena sciolto dallo Stato, dell’archivio fotografico non ci sono più notizie, un curatore non esiste. Un funzionario più gentile degli altri sorride e mi dice “si rassegni”.

Gli anni passano, e nella vita ci sono molte preoccupazioni più serie. Una domanda, però, mi tormenterà finché campo. Perché un burocrate sbadato, ignorantissimo anche se lavorava per un ente culturale, si è permesso di cancellare il mio nome dalla testimonianza di una giornata come quella? Una risposta, anche tardiva, sarebbe benvenuta.