Centouno anni fa, il 19 agosto del 1917, una cannonata austro-ungarica uccideva a Gorizia il romano Vincenzo Sebastiani, ingegnere, alpinista e sciatore, innamorato ed esperto delle nostre montagne. Arruolato tra i pompieri militari, era stato destinato a una città conquistata dalle truppe in grigioverde, ma ancora esposta al tiro dell’artiglieria nemica. Il centenario della Grande Guerra sta finendo, senza che in Italia si sia seriamente riflettuto sulle battaglie e le stragi di un secolo fa. Chi frequenta le Alpi sa bene che, dalla Lombardia al Veneto e dal Trentino al Friuli, si continuano a restaurare trincee e altre strutture. Sull’Appennino, molto lontano dal fronte, le ferite hanno riguardato centinaia di migliaia di ragazzi e di uomini spediti a combattere sulle Dolomiti e sul Carso, e che spesso non sono tornati a casa. La mia riflessione del 19 agosto, che è stata accompagnata dalla lettura di qualche pagina del mio libro “Alpi di guerra, Alpi di pace”, faceva parte del ricco programma messo a punto anche quest’anno da Eleonora Saggioro e dal team del rifugio. Spero che anche questo appuntamento sia servito a ricordare che quella guerra lontana ha colpito anche i ragazzi di casa nostra. E che i suoi risultati – conquiste territoriali, umiliazioni, revanscismi – pesano ancora sulla vita dell’Europa di oggi.