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Jane Goodall, la “signora degli scimpanzé”, si è spenta mercoledì 1° ottobre 2025 a Los Angeles, mentre era impegnata in uno dei tour di conferenze che occupavano – a 91 anni compiuti! – gran parte del suo tempo.

Londinese di buona famiglia, arrivata per la prima volta nel 1960 nella foresta di Gombe, in Tanzania, dove avrebbe lavorato per 65 anni, Jane è diventata negli anni un mito per gli scienziati di tutto il mondo, e per chi desidera la conservazione della natura, a iniziare dal WWF e dalle altre associazioni ambientaliste.  

I libri di Jane Goodall, da La mia vita con gli scimpanzé a  il mondo in una notte  e a Le ragioni della speranza, sono stati tradotti in decine di lingue, italiano compreso. E’ stato visto anche in tutto il mondo anche Jane, il documentario del 2017 che racconta la sua vita e il suo lavoro. Marino Niola, che l’ha commemorata subito dopo la sua scomparsa su Repubblica, ha scritto che “Jane e la natura erano diventate una cosa sola”, e che “ha contribuito a farci capire che fra noi e i primati il passo è breve, anzi brevissimo”.

Da qualche anno, soprattutto negli USA, ha ripreso vigore il Creazionismo, secondo il quale la Genesi va presa alla lettera, il mondo è stato creato da Dio com’è ora, e le preziose ricerche compiute da Charles Darwin e tanti altri sull’evoluzione delle specie e della vita devono essere considerate eretiche. Il lavoro compiuto nei decenni da Jane Goodall è prezioso anche per contrastare questo andazzo.   

Riproduco di seguito la mia intervista alla grande zoologa britannica, pubblicata sul quotidiano Il Messaggero il 2 giugno 2013. Sarebbe stato meraviglioso incontrare Jane Goodall a Gombe, invece mi sono dovuto accontentare di parlarle su un taxi in viaggio tra l’aeroporto di Fiumicino e Terni, dov’era in programma il primo di una serie di eventi dedicati a ragazzi e adulti dell’Umbria, organizzati dal Jane Goodall Institute Italia (www.janegoodall-italia.org), dal Perugia Science Fest, dai Comuni di Perugia e di Terni e dall’Università di Perugia. Buona lettura.

Jane Goodall, la signora degli scimpanzé

(Da Il Messaggero, 2 giugno 2013)

La signora degli scimpanzé ha un’aria da nonna gentile, dei lunghi capelli bianchi, un bel sorriso. Non è facile, incontrandola tra un aeroporto e un teatro, immaginarla nel fango della foresta pluviale di Gombe, in Tanzania, impegnata a osservare la vita quotidiana di Galahad, di Fifi, di Goliath e degli altri suoi amati scimpanzé.

Ma Jane Goodall è fatta così. Tre giorni fa ha parlato del suo lavoro al castello di Windsor, alle porte di Londra, davanti a una ventina di lord e ad alcuni esponenti della famiglia reale britannica. Stasera racconterà la sua vita a Perugia, nell’elegante Teatro Morlacchi, accompagnata dal clarinetto di Gabriele Mirabassi e dalla chitarra di Wolfgang Neitzer .

Nata a Londra quasi ottanta anni fa, sbarcata in Africa nel 1957, Jane Goodall racconta da decenni in tutto il mondo le sue ricerche, e il contributo che il suo lavoro ha dato alla conoscenza di queste scimmie così simili all’uomo. Oggi, con una forza e un entusiasmo straordinari, contribuisce alla battaglia per la tutela della specie.

Quando è arrivata in Africa, signora Goodall? E quanto ha lavorato nel Parco nazionale di Gombe?   

Sono arrivata in Kenya nel 1957, a ventitré anni. Nel 1960 mi sono spostata nella foresta di Gombe, nell’odierna Tanzania, dove ho visto per la prima volta gli scimpanzé. Li ho studiati per ventisei anni, fino al 1985, per sei mesi ogni anno. Non è stata una vita facile. Quando mio figlio Hugo Eric aveva pochi mesi, se non ero accanto a lui lo dovevo lasciare in una gabbia per evitare che le scimmie lo sbranassero.

Quanti erano gli scimpanzé in passato in Africa? E quanti sono ora?

Quando ho iniziato a studiarli non c’erano dati sicuri, ma erano almeno un milione. Oggi sono duecentomila, e continuano a diminuire. Molti vivono nelle foreste del Congo, in zone controllate da guerriglieri o banditi, dov’è impossibile contarli. Le popolazioni dell’Africa occidentale sono sempre più piccole e isolate

Qual’è stato il suo contributo alla conoscenza della specie?

Osservandoli ho scoperto che gli scimpanzé combattono ferocemente tra loro. Che cacciano senza pietà le altre scimmie. E che hanno paure, passioni, emozioni simili a quelle degli umani. La zoologia ufficiale, per anni, mi ha trattato malissimo. Attribuire emozioni alle scimmie sembrava una bestemmia. Anche la mia abitudine di dare agli scimpanzé un nome, invece di una sigla o di un numero, è stata a lungo derisa.

Esiste ancora questo giudizio negativo?

No, negli anni la situazione è cambiata. Oggi le mie teorie, che sono il frutto delle mie osservazioni, sono materia di studio nelle università di tutto il mondo.

Negli anni lei è diventata famosa…

Sì’, grazie ai miei libri, e ai servizi del National Geographic e della BBC, la gente ha iniziato a conoscermi. Ho ricevuto premi e onorificenze dalle Nazioni Unite, e dai governi di Francia, Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone. E anche dal governo della Tanzania, la mia patria adottiva.

Cosa minaccia oggi gli scimpanzé?

Il primo nemico, come per i gorilla e gli oranghi, è il taglio della foresta vergine. Nelle zone più povere dell’Africa, le grandi scimmie vengono ancora cacciate per fame, e finiscono spesso in pentola. Centinaia di cuccioli di scimpanzé vengono catturati ogni anno per rifornire gli zoo privati degli Emirati Arabi. Un traffico assurdo, che non si riesce a stroncare.

Reprimere cacciatori e trafficanti è sufficiente per salvare gli scimpanzé?

No, quella è solo una condizione necessaria. Dobbiamo aiutare gli africani a convivere con gli scimpanzé, far capire che le grandi scimmie portano turismo e reddito. Che sono una risorsa, non una seccatura.

Cosa avete fatto nel Parco di Gombe?

Una parte dei circa centoventi scimpanzé del Parco è stata abituata a ricevere la visita di piccoli gruppi di turisti. Molte persone della zona lavorano come guide e guardiaparco. Ora stiamo esportando l’esperienza di Gombe nelle aree protette di altri Paesi africani dove vivono gli scimpanzé, dalla Guinea Bissau all’Uganda.

Quanto è importante per lei il Jane Goodall Institute?

E’ importantissimo, è la mia vita. Vivo a Bournemouth, sulla costa della Manica, ma viaggio per trecento giorni all’anno. Il Jane Goodall Institute, che ho fondato nel 1977, si batte per la tutela delle scimmie e di tutta la natura africana. Abbiamo sedi in una ventina di Paesi, e diecimila gruppi di giovani sostenitori in tutto il mondo.

Le vostre iniziative riguardano solo i villaggi accanto ai Parchi?

Alcune delle nostre iniziative in Tanzania riguardano la città di Kigoma, sulla riva del Lago Tanganyika, a pochi chilometri da Ujiji, dove nel 1871 Henry Morton Stanley ha incontrato David Livingstone.

E’ vero che a Kigoma ci sono anche delle iniziative italiane?

Sì, dal 1999, la sezione italiana del Jane Goodall Institute finanzia un orfanotrofio che ospita una cinquantina di ragazzi. All’inizio dormivano in camerate, oggi li ospitiamo in delle case-famiglia. Costa caro ma è l’unica strada. Solo una società più giusta può proteggere davvero la natura.